Epitteto – Manuale. Lo schiavo filosofo che divenne padrone del suo padrone e del suo destino

Epitteto (50 – 130 circa) è stato uno dei maggiori filosofi dello stoicismo romano, insieme a Seneca e Marco Aurelio. Allievo dello stoico romano Musonio Rufo e fondatore nell’Epiro di una scuola di ispirazione socratica, come Socrate, Epitteto non scrive nulla. La sua filosofia è racchiusa nelle sue azioni guidate da una ineccepibile condotta morale. Nato da madre schiava, dobbiamo al suo allievo Flavio Arriano la raccolta del suo pensiero nell’opera intitolata Diatribe, di cui il Manuale qui esposto, rappresenta una perfetta sintesi. È andata persa invece una biografia che avrebbe potuto gettare un po’ di luce sulla vita del filosofo di Ierapoli.

 

Lo schiavo filosofo

Come fa notare nella pregevole introduzione Enrico V. Maltese, “la cifra sublime di Epitteto è cercata in una antitesi tra le miserevoli condizioni esterne e la grandezza interiore”. Il primo elemento che colpisce è la condizione di Epitteto, uno schiavo, probabilmente nato libero e soggiogato nel corso della sua vita.

Ci si chiede subito come sia stato possibile che un oppresso, la cui libertà è stata tenuta in scacco per buona parte della propria esistenza (almeno fino ai 25 anni), sia riuscito ad ambire all’altare della filosofia antica. È proprio questo un dato assolutamente significativo della stessa grandezza della filosofia, che unisce sotto lo stesso tetto un povero schiavo e un grandissimo imperatore. Il riferimento è chiaramente a Marco Aurelio, lettore e ammiratore del Manuale e delle Diatribe di Epitteto. Un imperatore che ammira uno schiavo. Ecco uno dei grandi insegnamenti della filosofia: la ricerca del sapere e della verità è l’unica cosa necessaria, indipendente dalla condizione sociale di colui che cerca.

“Non sono i fatti in se che turbano gli uomini, ma i giudizi che gli uomini formulano sui fatti”

Come accennato, c’è un’ampia zona d’ombra nelle vicende del filosofo originario della Frigia. Le notizie sulla vita di Epitteto sono scarse e si intrecciano nel contrasto tra la sua condizione di schiavo e una saggezza a tratti divina. Tanti sono i passaggi non chiari e difficilmente ricostruibili nella vita di Epitteto, come l’incredibile scomparsa della sua figura per tutto il Medioevo.

L’impostazione del suo pensiero, come vuole la tradizione stoica, è incentrata sulla sopportazione dei mali fisici, dei dolori e dei patimenti. Egli colloca il bene e il male morale unicamente in ciò che “dipende da noi”. Salute fisica e beni esteriori non hanno nessuna importanza per la bontà della vita. A definire l’uomo è solo una cosa: la scelta morale. A fronte di un avvio sofferto, la fama di Epitteto negli ultimi anni di vita crebbe a dismisura tanto che ebbe una schiera di allievi e fondò un’importante scuola.

Controllare quello che possiamo controllare e lasciare andare ciò che non rientra nella nostra sfera di controllo. L’insegnamento di Epitteto è di grande importanza. L’uomo deve meditare sui settori specifici della propria vita che solo lui è in grado di migliorare o di cambiare. Separe dunque, all’nterno della propria esistenza, la componente di ciò che si è dalla componente delle cose che non si possono dirigere, indirizzare e controllare. Ancora oggi queste tecniche, se applicate con rigore e concentrazione, possono rivelarsi utilissime.

 

Il Manuale. Contenuto e fortuna dell’opera

Il Manuale, (Encheridion) in generale, era un qualcosa che nell’antichità si doveva avere sempre a portata di mano, soprattutto per coloro che desiderano imbracciare i dettami della buona vita. Nella fattispecie esso deriva, è bene ricordarlo, per “riduzione” dalle Diatribe. Tuttavia il Manuale di Epitteto non sembra essere destinato all’opera della divulgazione. Arriano  ribadisce che l’utente comune non sarebbe in grado di coglierne la profondità e di capirlo a fondo. Era necessario avere una buona e adeguata preparazione filosofica per potersi confrontare con questo testo.

Se escludiamo i profani e gli adepti ai quali quest’opera non può essere rivolta, ci accorgiamo che solo chi aveva già  intrapreso un percorso filosofico stoico, che lo avrebbe condotto allo status di filosofo, poteva recepire l’opera in maniera ottimale. Il suo contenuto non  è composto da una sequenza di nudi estratti; non sono summe o stralci e il testo non si presenta neanche come un corpus di sentenze. È un continuo desiderio di rimarcare l’attenzione sull’applicazione e sui precetti esposti nella parte iniziale dell’opera.

“Incolpare gli altri dei propri mali è tipico di chi non ha educazione filosofica; chi l’ha intrapresa incolpa se stesso; chi l’ha completata non incolpa né gli altri né se stesso”

È risaputo quanto grande rilevanza abbia la vita pratica per la filosofia stoica. La teoria deve avere un’immediata attuazione nella pratica e per Epitteto, nel rispetto di questa tradizione, “in filosofia il settore primo e più necessario è l’applicazione dei principi; per esempio: non mentire”. Inoltre Epitteto nella più squisita tradizione socratica, invita a non definirsi filosofo ma a forgiarsi continuamente di quel carattere e di quella condizione di filosofo, che “attende ogni danno e ogni beneficio da se stesso”.

La fortuna di quest’opera è data innanzitutto dal fatto che si tratta di un’opera aperta, adatta a tutte le epoche e a tutti gli umori. Essa è priva di una sua dipendenza speculativa e dottrinale e questo aspetto è la forza del testo, che non rappresenta di per sé una precisa scuola di pensiero, ma prefigura degli ottimi presupposti per un importante messaggio di fondamento morale.

L’opera di Epitteto ebbe una notevole influenza nei secoli successivi. Già il neoplatonico Simplicio ebbe per il testo una grande attenzione. Montaigne, Pascal e Hadot ne tessero le lodi. Fece anche il suo ingresso nei monasteri come testo per la disciplina ascetica. Il cristianesimo lo assunse come manuale di perfezione. In pieno umanesimo torna alla ribalta e nel 1528 il Manuale di Epitteto viene stampato a Venezia. Da quel momento seguiranno innumerevoli ristampe per tutto il Cinquecento. Il Manuale quindi diventa, da un lato, testo dalle chiare ripercussioni religiose (soprattutto per quanto attiene il rigorismo protestante), e dall’altro un credo di rifondazione della nobile posizione aconfessionale dell’uomo.

Sia che si cavalchi il mito di un Epitteto cristiano, o quantomeno precursore del cristianesimo, oppure che si veda in lui un monumento dello stoicismo, fautore e proclamatore di una rispettabilissima dignità laica, la sua figura emerge come uno degli esempi più interessanti, di come la filosofia possa e debba essere, uno straordinario esempio di scelta di vita.