Lev Tolstoj – La confessione, l’opera spartiacque del grande romanziere russo

La confessione di Lev Nikolàevič Tolstoj (1828 – 1910), scritta tra il 1879 e il 1882, è il testo che separa nettamente il “primo” dal “secondo” Tolstoj. Un testo fondamentale che segna meglio di ogni altro il momento della conversione del grande romanziere russo. La scelta di recensire quest’opera (di cui consiglio l’edizione Universale Economica Feltrinelli), nasce dall’esigenza di mettere in risalto questa distinzione, perché abbiamo il Tolstoj di Anna Karenina, antecedente alla conversione e il Tolstoj della Sonata a Kreutzer, successivo alla conversione, e consentire così al lettore di immergersi in questo “testo spartiacque” che segna in modo indelebile la vita artistica dello scrittore. Resta inteso, che in entrambe le versioni, antecedente e successiva a quest’opera, il romanziere russo raggiunge uno dei più alti livelli letterari di tutto l’Ottocento.

La confessione, in verità poco conosciuta, è di assoluta importanza per comprendere in che modo e in che termini è nata e si è sviluppata in Tolstoj la motivazione che lo ha spinto a intraprendere questo decisivo cambio di vita, coinvolgendo interamente la sua produzione artistica, permeando la sua ispirazione ed evidenziando inoltre la grande spiritualità che pervade da sempre l’animo dello scrittore e che viene trasmessa al lettore grazie ad una impeccabile esposizione, calando il medesimo nell’intimità del pensiero letterario anche attraverso il palesarsi di domande esistenziali che ricorrono costantemente lungo tutto il corso della vita dello scrittore e che vengono puntualmente presentate.

“La mia domanda, quella che a cinquant’anni mi tentava al suicidio, era la più semplice che ci possa essere, […] quella che esige una risposta, pena l’impossibilità di vivere: perché vivere, perché desiderare, perché fare qualcosa? La mia vita ha un qualche senso che non verrà distrutto dalla morte che mi attende ineluttabile”

La confessione assume fin da subito tratti filosofici (che a breve affronteremo), ma palesa anche uno spiccato aspetto drammatico, perché le motivazioni che originano il lucidissimo ragionamento tolstojano, che si esplicano attraverso la “crisi” e la “rinascita spirituale”, prendono forma grazie ad un rigore e ad una lucidità espositiva dai connotati che da più punti sembrano sfociare in tragedia. Ad onor del vero, c’è da dire che non è raro incontrare crisi e conversioni tra vari poeti e scrittori, molto più raro è possedere una documentazione così precisa ed esauriente, scritta di proprio pugno dall’autore stesso, che esprima passo dopo passo i vari aspetti di questa conversione.

“Ero giovane, in preda alle passioni, ed ero solo, completamente solo, nella mia ricerca del bene”

 

Arte e morale tra il “primo” e il “secondo” Tolstoj  e le quattro vie d’uscita

Il passaggio dal “primo” al “secondo” Tolstoj segna un ribaltamento che riscontriamo soprattutto in due diverse concezioni: quella dell’arte e quella morale. Il primo Tolstoj si è concentrato su un aspetto dell’esistenza umana, quello della pura contemplazione panteistica e dell’estasi artistica, che presuppone l’abbandonarsi alla vita stessa, mentre nel secondo abbiamo un rinnegamento totale di quell’atteggiamento che finisce inevitabilmente per condannare proprio l’arte.

Da un punto di vista morale invece nel primo periodo Tolstoj si concentra esclusivamente sull’ideale pratico dell’autoperfezionamento, inteso, come fa notare nella postfazione Gianlorenzo Pacini, come adeguamento alla vita. Per il Tolstoj successivo abbiamo un ribaltamento che coincide con la totale rinuncia dell’uomo a se stesso e il sacrificio della propria personalità a beneficio della realizzazione della volontà di Dio. L’impegno morale dunque coincide con il desiderio di conoscenza di Dio. Ma questo, altro non è (come ha fatto straordinariamente notare Dostoevskij), che un paradosso della condizione umana che presenta due fortissime aspirazioni contrapposte: una che spinge l’uomo verso la propria autorealizzazione e l’altra che lo porta al sacrificio totale di tutta la sua persona. E queste spinte non solo sono connesse tra loro ma fanno parte della natura umana e quindi sono ineliminabili e in continua tensione reciproca.

Non trovando risposta nella scienza, Tolstoj individua nel VII capitolo de La confessione, quattro vie d’uscita, per venir fuori dalla situazione di crisi in cui l’individuo risiede (la via dell’ignoranza, del piacere, della forza e della debolezza), ma ognuna di esse (lui si colloca nell’ultima di queste vie), conduce ad un vicolo cieco. Questa opposizione consente a Tolstoj di procedere spedito verso una continua tensione/negazione del valore aulico della filosofia.

“Cosa Sono io? Una parte dell’infinito”

È impressionante come in poco più di cento pagine Tolstoj dispieghi un impianto riflessivo così profondo da non consentire al lettore un minimo respiro tant’è fitta la rete di concetti così abilmente proposti.

 

Il Tolstoj filosofo. Il carattere filosofico dell’opera, la continua ricerca della verità e il significato del popolo tolstojano

Aspetto importantissimo de La confessione è la spiccata vena filosofica che permea tutto il testo. Tolstoj coglie un punto basilare, a mio avviso, quando afferma, giustamente, che la filosofia è importante perché pone le giuste domande ma non offre nessuna risposta. Il filosofo, secondo Tolstoj, asserisce che “questa sostanza, idea, spirito” esiste, ma del perché esiste non sa rispondere. “E per la vera, autentica filosofia”, afferma Tolstoj, “tutto il lavoro consiste nel porre chiaramente questa domanda”. L’importanza della filosofia è ribadita da Tolstoj dal continuo riferimento a filosofi quali Schopenhauer, Kant, Socrate, e rimandi indiretti a più o meno marcati aspetti filosofici presenti nel testo biblico dell’Ecclesiaste, (nella figura di Salomone) e in un’altra figura dai chiari connotati filosofici qual è il Buddha. Ma né la scienza (che Tolstoj distingue in speculativa e sperimentale), né la filosofia, né la fede, intesa come adesione incondizionata al dogma di una istituzione religiosa (inizialmente individuata dal romanziere russo nella variante ortodossa del cristianesimo) sono la via e la strada.

Un primo approdo sicuro è stato per Tolstoj quello della chiesa ortodossa ma l’opulenza, lo sfarzo e l’ostentazione di ricchezze da parte della stessa mal si conciliava con la tensione spirituale dello scrittore. La risposta sul senso della vita va ricercata altrove. Ma dove? Tolstoj risponde in maniera convinta. Nel popolo. È nel comportamento degli umili, dei poveri contadini, dei miseri reietti, dei semplici che formano quell’immensa maggioranza che passa anonima come un soffio su questa terra, che sopporta i mali, le angherie, le atroci sofferenze dell’esistenza, è lì che risiede il senso della vita. È nel principio popolare che risiede la salvezza ed è ancora il popolo, l’unico che detiene la verità. Ma Tolstoj, che più volte sembrava convincersi di essere approdato ad un punto fisso, ad una sorta di verità inamovibile, e di aver posto basi solidissime, tradisce ancora un senso di insoddisfazione. Anche nel popolo vi sono aspetti che non consentono una piena e perfetta realizzazione spirituale, ergo il raggiungimento di una fede autentica.

Io non so dire quanto consciamente lo scrittore sia giunto a questo epilogo, ma ne La confessione il punto essenziale a cui approda la sua riflessione, non è teologico ma è ancora una volta squisitamente filosofico, perché il valore assoluto della fede risiede secondo Tolstoj nel collegamento che essa opera tra il finito e l’infinito. Dove si può cogliere allora il senso della vita? Sicuramente non in un dato. Un dato accettato passivamente nega inevitabilmente lo sforzo attivo. No. Non può trovarsi lì il senso della vita. A quel punto può risiedere solo nella ricerca incessante di esso. La ricerca dunque. La ricerca perenne di una verità che non si può cogliere. L’azione incessante, il tendere continuamente verso un qualcosa. E questo è niente meno che il senso della filosofia: la consapevolezza di non riuscire mai a raggiungere una verità assoluta, ma il desiderio costante di tendere ad essa.

La critica alla filosofia precedente era dunque più propriamente una critica alle varie filosofie della storia, accompagnata da quella che poi è una critica radicale delle religioni positive. Tolstoj sembra tuttavia non mollare la presa sulla fiducia che ha sul popolo, un popolo da lui straordinariamente idealizzato. È qui la sua riflessione diventa attualissima. Questo popolo è mai esistito? Esiste oggi? Se ci guardiamo attorno, scorgiamo qualche traccia del popolo tolstojano? Umiltà, innata spiritualità, senso dell’assoluto, semplicità, purezza, bontà; tutte queste caratteristiche in quale popolo le rintracciamo nel nostro tempo? Oggi ovunque indirizziamo lo sguardo intravediamo un consumismo della peggior specie, ostentazione di ricchezze fasulle, materialismo, egoismo, apatia, perenne insoddisfazione, infelicità dilagante. Dov’è quel popolo idealizzato da Tolstoj? Purtroppo non ne scorgiamo nessuna traccia.

La confessione rimane un testo chiave nella produzione tolstojana, un opera che sviscera attraverso un’attenta dialettica interiore, la crisi esistenziale dell’uomo, che nell’esempio in questione, lungi da essere semplice lamentazione di sé, viene trasformata da Tolstoj fino a divenire una delle più formidabili riflessioni interiori della letteratura moderna e contemporanea.