Miguel De Unamuno – San Manuel Bueno, Martire. Il santo ateo

Nel paesino immaginario di Valverde de la Lucerna, in una Spagna sospesa nel tempo, si consuma la bellissima vicenda umana di Don Manuel, il parroco del villaggio, guida spirituale e punto di riferimento per tutta la comunità. Nel piccolo racconto San Manuel Bueno, Martire, il poeta, filosofo e scrittore spagnolo Miguel De Unamuno, compie in pochissime pagine, un’autentica prodezza letteraria e per merito di uno stile narrativo sintetico ed efficace, abbellito da concetti intensi, offre al lettore una strepitosa riflessione sulle contraddizioni del cristianesimo, riuscendo a minare credenze solidissime e concentrandosi sull’eterna diatriba tra la ragione che nega Dio e il sentimento che lo richiede, lo pretende, lo invoca e idealmente tende ad esso.

Claudio Magris in una nota molto incisiva riassume così tutta l’essenza del racconto: Unamuno affronta genialmente il paradosso del cristianesimo e di una fede che trova in esso più vita che verità”.

Uscito per la prima volta nel 1931, nella penisola Iberica San Manuel Bueno, Martire è conosciutissimo: un vero e proprio classico della letteratura spagnola. In Italia dobbiamo alla Casa Editrice Mesogea, grazie alla ristampa del 2011, la recente diffusione del testo, impreziosita da una nuova ed eccellente traduzione fatta da Marco Ottaiano.

Il racconto si snoda sul filo del ricordo. La voce narrante è quella di Angela Carballino che ripercorre la vicenda di questo parroco, diventato poi santo e racconta come ad un certo punto abbia perso definitivamente la fede.

Don Manuel non crede più nell’aldilà, (ma forse non ci aveva mai creduto) e non “sente” più dentro di sé il richiamo di quel Dio tanto invocato, ma ciononostante esorta i suoi fedeli a pregare, ad avere fede e a comportarsi da veri cristiani. Porta per loro la croce invisibile del martirio, consapevole di essere, benché ormai privo di fede, l’unica figura capace di reggere le innocenti speranze della sua gente.

I fedeli tuttavia non devono sapere, non devono conoscere questo tremendo segreto. Essi non capirebbero mai. L’abisso della sua anima, il vuoto incalcolabile è una cosa che riguarda solo lui. Solo Lazaro può comprendere ed accogliere la sua tremenda confessione.

Dalla penna di Miguel de Unamuno prende forma un diverso tipo di santo, ancora più eroico se vogliamo, perché non sorretto da Dio. Scrisse Unamuno, nel suo libro più famoso Del sentimento tragico della vita:sono i martiri a fare la fede assai più di quanto non sia la fede a fare i martiri”. L’esempio di San Manuel è chiaramente figlio di quest’acutissima intuizione.

“La fede in Dio consiste nel creare Dio, ed essendo Dio la fede in Lui, è Dio che si crea incessantemente in noi”.

Inutile dire quanto il testo fu osteggiato e visto di cattivo occhio dagli ambienti ecclesiastici. Per Unamuno è impossibile ambire a un ipotetico aldilà senza vivere questa relazione in modo conflittuale. Senza questa pura agonia non si riuscirebbe ad avere neppure la certezza dell’esistenza in questo mondo.

Don Manuel fonda il suo “credere” in Dio solo ed esclusivamente nella relazione speciale con gli individui e la sua ricerca della verità non può non svolgersi se non in un’ottica esperienziale di confronto e relazione con gli altri. Si spiega così il concetto di fede nella figura di Angela Carballino, che certo si nutre anch’essa di quell’esperienza col prossimo ma a darle davvero lo slancio decisivo è solo l’osservanza dell’opera del parroco martire: le sue parole, i suoi insegnamenti, i suoi consigli.

Un autore ateo o agnostico che descrive le vicende di un prete ateo: l’inverosimile storia di questo San Manuel Bueno, Martire divenuto incredibilmente santo. Il filosofo spagnolo, in poche frasi, con una penna efficace e raffinata si cimenta in una critica dura alla fede e alla religione, ma si fa anche portatore di un grande messaggio. Il suo vuole essere soprattutto un invito ad intraprendere quella strada di profonda ricerca, sull’indissolubile relazione che intercorre tra l’uomo e il trascendente.

“La vita è sogno”, parafrasando Pedro Calderón de la Barca e credere (forse) non è altro che sognare. Dal testo emerge un concetto chiaro che lentamente si fa strada e prende forma guidato dalla penna sontuosa di Miguel de Unamuno: secondo il filosofo infatti il santo è colui che tiene viva negli altri la speranza dell’immortalità, senza sperarla per lui.

Mi limito ad indicare una frase magnifica, a mio avviso cruciale, presente nel racconto, dove emerge in tutta la sua potenza il contrasto spaventoso vissuto dal parroco, la rassegnazione, l’accettazione e insieme la presa di coscienza della sua volontà; quest’incredibile duplice forza contraria annientatrice. Si tratta di una frase estrapolata dalla disperata confidenza che Don Manuel farà a Lazaro.

La mia vita è una sorta di suicidio continuo, una lotta contro il suicidio, che è poi la stessa cosa”.

Don Manuel per tutta la vita non farà altro che continuare perennemente a suicidarsi nella sua opera, rinnovarsi e rinascere ancora “in” e “da” questo suicidio, rinvigorendo i desideri e le speranze dei propri compaesani “che sognano la vita eterna, così come il lago sogna il cielo”.