Pier Paolo Pasolini – Le ceneri di Gramsci. Emblema della nuova poesia civile

Parlare di Pier Paolo Pasolini (1922 – 1975), autore dell’immenso Le ceneri di Gramsci, per il sottoscritto è traumatico ed entusiasmante nello stesso tempo. L’amore per questo poeta, scrittore e intellettuale non si è esaurito, per quanto mi riguarda, con la sua intera opera, gelosamente custodita, ma è andato più in profondità. Quando si supera l’incredibile poliedricità che questa figura ha offerto (regista, romanziere, critico, intellettuale, sceneggiatore, drammaturgo, giornalista, saggista, linguista e traduttore) e si riesce ad addentrarsi nei meandri di quest’anima, emerge con chiarezza la parte più vera dell’uomo, l’aspetto più intimo e profondo che questa penna ha prodotto in tanti anni: la poesia. Chi ama Pasolini ama una parte di Pier Paolo più di tutte le altre. Il mio Pasolini è soprattutto il Pasolini Poeta.

Ma amare Pasolini significa anche scontrarsi con quella tragica  morte e marchiarsi indelebilmente nel cuore una data: 2 novembre 1975. Amare il Pasolini poeta credo significhi di più. Il lettore sono certo mi perdonerà, visto che si tratta del mio poeta di formazione, quell’enfasi emotiva e passionale attorno a questa recensione che potrebbe trapelare a ogni capoverso, ma che mi riprometto di contenere e ricacciare dentro, per preservare quella sacra oggettività che chi recensisce deve mantenere, anche se l’oggetto della recensione rappresenta un pilastro inamovibile della propria formazione culturale, politica e umana.

Raccontare in poche righe chi è Pasolini, attraverso il capolavoro Le ceneri di Gramsci, è quasi impossibile; è un po’ come parlare di un fatidico amore giovanile, che non viene mai meno e per il quale, troppo spesso si torna con la mente a ripercorrerlo, a riviverlo, avvertendo con stupore che non è cambiata di una virgola l’autentica emozione primordiale, avvertita svariati anni prima, constatando infine che trovare le parole giuste per descriverlo è impresa decisamente ardua.

 

Le ceneri di Gramsci, analisi stilistica dell’opera

Tra le oltre trenta opera di Pier Paolo ho scelto quello che per me rimane il suo più grande lavoro: Le ceneri di Gramsci. Apice poetico indiscutibile, nel panorama italiano. Pubblicata nel 1957 questa raccolta poetica rappresenta il punto più alto della poesia pasoliniana ed è un’opera fondamentale nel panorama letterario del secolo scorso. È composta da undici poemetti: L’Appennino, Il canto popolare, Picasso, Comizio, L’umile Italia, Quadri friulani, Le ceneri di Gramsci, Recit, Il pianto della scavatrice, Una polemica in versi, la terra di lavoro.

Ma perché questa raccolta è così importante? Innanzitutto ci troviamo dinnanzi a un’opera che rifiuta i toni della poesia del Novecento rifacendosi anche ad una tradizione precedente, settecentesca per la precisione, utilizzata soprattutto nel Recit, attraverso la quale Pasolini è riuscito a ideare una nuova forma di poesia civile. Quindi l’originalità è sicuramente un primo elemento determinante. Accanto ad esso va messo in evidenza come questa nuova forma poetica rappresenti appunto una grande opera d’impegno sociale attraverso la quale lo sperimentalismo formale di Pasolini assume una drammaticità straordinaria, garantendo una forte compattezza strutturale. L’elevato spessore del verso si fonde con una metrica degna del più grande D’annunzio.

Il poeta utilizza spesso la terzina dantesca, all’interno della quale confluiscono elementi non tanto dannunziani quanto pascoliani, che lasciano trapelare anche aspetti riconducibili al carduccianesimo, come per esempio l’enfasi discorsiva. Pasolini inoltre fa sfoggio del più ampio corollario poetico a livello metrico e ritmico che si possa offrire: i versi sono ipermetri e ipometri, lo schema ritmico è prima incrociato poi incatenato, successivamente ripetuto o replicato e infine invertito. L’enjambement, elemento essenziale per dare ritmo alla poesia, è utilizzato alla perfezione.

 

È un brusio la vita, e questi persi

in essa, la perdono serenamente,

se il cuore ne hanno pieno: a godersi

 

eccoli, miseri, la sera: e potente

in essi, inermi, per essi, il mito

rinasce… Ma io, con il cuore cosciente

 

di chi soltanto nella storia ha vita,

potrò mai più con pura passione operare,

se so che la nostra storia è finita?

 

Le ceneri di  Gramsci. Il contenuto dell’opera

Le tematiche principali che troviamo ne Le ceneri di Gramsci sono l’adesione da parte di Pasolini ad un’ideologia comunista che si fonda su una forte vena critica da parte dello scrittore e che non si esplica con un’adesione incondizionata al partito ma si scontra con i sui dettami e le sue regole. Magistrale è la descrizione del suo eroico sentimento politico: la contraddizione intrinseca, traslata in poesia, tra la sua adesione razionale all’ideologia comunista e la sua condizione emotiva che va contro di questa.

Altro aspetto centrale è la figura del popolo. Esso è il portatore di tutta una seria di valori positivi in contrapposizione alla borghesia, becera, corrotta, egoista che rappresenta il male. Il mondo popolare è il vero mondo, autentico, puro, al quale guardare con sguardo incantato. Pasolini stesso lascia trapelare una condizione di grande turbamento perché desidera abbandonare, non solo emotivamente, la sua condizione borghese e gettarsi nel mondo popolare, genuino e integro. Quel mondo che così tanto lo affascina, verrà perfettamente riportato nei versi di quest’opera. Un mondo, quello delle povere borgate periferiche di Roma, che come è noto non appartiene a Pasolini, ma dal quale egli si sente irrimediabilmente attratto.

C’è un aspetto importante che merita di essere sottolineato: a Pasolini il popolo non interessa nella sua lotta di classe e neanche nella sua coscienza di classe. Ciò che desidera più di tutto è far emergere l’espressione più autentica e vitale che questo popolo manifesta nella sua difficile quotidianità. Pasolini sa che questo mondo è destinato a scomparire per sempre (in questo è stato straordinariamente profetico), ma da grande intellettuale e osservatore quale è stato, riesce a proporcelo vivo, con quel taglio malinconico e fatale che in certi passaggi (vedi la descrizione degli operai che tornano a casa nel quartiere di Testaccio), si fa davvero commovente.

Questo famoso frammento che ho estrapolato dal Pianto della Scavatrice è forse quanto di più bello e sincero sia stato scritto su Roma.

 

Stupenda e misera città, / che m’hai insegnato ciò che allegri e feroci / gli uomini imparano bambini,

le piccole cose in cui la grandezza / della vita in pace si scopre, come / andare duri e pronti nella ressa

delle strade, rivolgersi a un altro uomo / senza tremare, non vergognarsi / di guardare il denaro contato

con pigre dita dal fattorino / che suda contro le facciate in corsa / in un colore eterno d’estate;

a difendermi, a offendere, ad avere / il mondo davanti agli occhi e non / soltanto in cuore, a capire

che pochi conoscono le passioni / in cui io sono vissuto: / che non mi sono fraterni, eppure sono

fratelli proprio nell’avere / passioni di uomini / che allegri, inconsci, interi

vivono di esperienze / ignote a me. Stupenda e misera / città che mi hai fatto fare

esperienza di quella vita / ignota: fino a farmi scoprire / ciò che, in ognuno, era il mondo.

Immagini, colori, gesti, ma anche emozioni, sensazioni, riflessioni. Pasolini trasforma tutto ciò che vede in poesia. Una poesia a tratti travolgente, malinconica e disperata, ma anche eccelsa nelle sue variegate manifestazioni estetiche.

Chi è che sta uccidendo questo popolo così puro? Chi sta contaminando una cosi rara bellezza? Secondo Pasolini è la società dei consumi che imponendo una nuova serie di valori e un nuovo linguaggio, è la causa della fine di questo mondo popolare. L’omologazione dei costumi degli italiani ha cancellato i tratti più originali di questo mondo, rendendolo irriconoscibile, abbruttendolo irrimediabilmente e intaccando per sempre la sua anima. Ciò che non riuscì a fare neppure il fascismo, dirà in seguito Pasolini, lo sta perfettamente facendo la società consumistica e soprattutto la televisione.

 

Critica dell’opera

Pasolini non ebbe un bel rapporto con la critica. Spesso fu costretto ad auto-recensirsi. Lo scrittore non godeva minimamente neppure del favore popolare, vuoi per il suo essere un comunista molto critico e scomodo e questo non piaceva al partito, vuoi per la sua omosessualità dichiarata, un fatto eclatante nell‘Italia degli anni Cinquanta e Sessanta con una mentalità piuttosto arcaica e non molto propensa ad accettare certe posizioni sessuali. Parlare de Le ceneri di Gramsci, comporta per me riportare almeno due passaggi critici contrastanti, che hanno accolto da un lato freddamente, per non dire orribilmente quest’opera, e dall’altro in maniera esaltante.

Alfredo Giuliani è uno di coloro che ha stroncato miseramente il più importante volume di versi di Pasolini. La sua critica si incentra sul fatto che Pasolini aveva riesumato i vari Pascoli, D’Annunzio, Saba e Gramsci, mescolando nazionalismo e socialismo, come se fosse un crimine ritornare a certi poeti illustri del passato e fare un intimo resoconto della propria condizione esistenziale, inserendola in un chiaro contesto storico. Inoltre Giuliani ignora anche l’elemento su cui si fonda questa raccolta: la passione. È nella passione la radice esistenziale di Pasolini, un eterno adolescente per il quale il mondo è un prolungamento di se stesso. Una passione travolgente, politica, ideale, morale, narcisistica. Non vedere, o far finta di non vedere il sostrato di intima vitalità da cui ha preso vita questa poesia, è secondo me un azione scorretta sia nei confronti dello scrittore che nei confronti del lettore.

Ad onor del vero c’è anche chi, come la più blasonata penna di Italo Calvino, ha avuto grandi parole d’elogio. Egli rimase piacevolmente colpito dall’opera tanto da definire lo scritto di Pier Paolo come un testo di una “bravura tecnica da sbalordire”. Col passare degli anni, il valore de Le ceneri di Gramsci emerse definitivamente e anche le frange critiche più dure dovettero riconoscere le qualità di questo componimento poetico.

Il coraggio di Pasolini nel pubblicare l’opera fu incredibile. Siamo nel 1957, in un momento delicatissimo per la sinistra mondiale. La condanna di Stalin, l’invasione dell’Ungheria, la diaspora degli iscritti all’interno del Pci che si era schierato dalla parte delle armate russe, erano solo alcuni degli aspetti che emergevano dal quadro politico. In un momento storico così particolare, il libro di Pasolini giunse con un impeto inaspettato. Attualissimo, coraggioso, coerente politicamente, pervaso da un’onestà intellettuale poche volte riscontrata in precedenza. Le ceneri di Gramsci fu un testo che scosse le coscienze.

Inoltre Pasolini sembra essere davvero l’interlocutore ideale di Gramsci. La solitudine del poeta si estrinseca in un angosciosa alienità rispetto alla società nella quale egli opera. È una solitudine autentica, magnificamente feconda ma anche a tratti insostenibile. Necessaria perchè si intreccia con la libertà di pensiero e l’assoluta indipendenza che ogni intellettuale dovrebbe avere. Il poeta ne prende atto, con assoluta lucidità, e lo esterna in uno dei suoi magnifici frammenti:

La mia indipendenza, che è la mia forza, implica la solitudine, che è la mia debolezza

Sulla solitudine, propria e altrui, Pasolini ha scritto pagine magnifiche. In questa raccolta c’è l’amore, la passione, la solitudine che solo i grandi poeti posseggono. Le ceneri di Gramsci sono una pietra miliare nel corso della poesia italiana del Novecento. Un testo aperto, vivo, malinconico e autentico. Un esempio esemplare di poesia civile.

Oggi, credo che la figura di Pasolini debba essere assolutamente rivisitata in tutta la sua interezza, soprattutto per la delicata situazione politica e sociale che sta vivendo in questo periodo l’Italia. Nel 1973, Pasolini scrisse ad Alberto Moravia quanto segue. Non credo ci sia bisogno di sottolineare l’incredibile attualità di queste parole esternate dal poeta quasi cinquant’anni fa.

“Mi chiedo caro Alberto, se questo antifascismo rabbioso che viene sfogato nelle piazze oggi a fascismo finito, non sia in fondo un’arma di distrazione che la classe dominante usa su studenti e lavoratori per vincolare il dissenso. Spingere le masse a combattere un nemico inestistente mentre il consumismo moderno striscia, si insinua e logora la società già moribonda”.

Moravia in occasione del funerale di Pasolini disse che “il poeta è sacro”, e che Pasolini era stato uno dei pochi poeti che contarono davvero nel Novecento. Aggiungo io che Pasolini non solo è stato uno dei più grandi poeti del Novecento, ma anche il più grande intellettuale del secolo scorso e oggi visti i tempi in cui viviamo e tenuto conto della situazione allarmante che trapela da ogni angolazione, di questa penna così lucida e raffinata avremmo terribilmente bisogno.

 

Per chi volesse approfondire la figura di Pier Paolo Pasolini consiglio innanzitutto questi due siti: Pier Paolo Pasolini – Centro studi Casarsa della Delizia e Pier Paolo Pasolini.

Consiglio inoltre per il testo Le ceneri di Gramsci l’edizione Garzanti.