Pierre Hadot, Esercizi spirituali e filosofia antica. La filosofia come scelta di vita

Esercizi spirituali e filosofia antica , Edizioni Einaudi (2005) è un’opera di Pierre Hadot (1922 – 2010),  filologo e filosofo francese, tra i più grandi storici contemporanei del pensiero antico. In questa fondamentale opera, Hadot ricostruisce, in maniera esemplare, la storia di quel sistema di pratiche filosofiche, andato perduto nel corso del tempo, che aveva come obiettivo fondamentale quello di “formare” e non semplicemente “informare” gli animi, secondo la teoria, pienamente sostenuta dal filosofo, che la filosofia in passato avesse soprattutto una finalità pratica, piuttosto che teorica. Lo studio di Hadot all’interno degli Esercizi spirituali mira a mettere in evidenza come la lezione degli antichi avesse una valenza concreta, come sapere pratico e orientamento nella vita.

Per gli antichi greci la filosofia era “un esercizio di vita attivo” che attraverso un costante lavoro su se stessi, coinvolgeva tutta la persona facendo entrare in relazione le diverse componenti fisiche e psichiche nella loro totalità. La filosofia antica ha come insegnamento fondamentale quello di rappresentare un invito alla trasformazione. L’approccio non può che essere filologico, in quanto è solo la filologia a garantire quel rigore necessario per acquisire in maniera proficua l’insegnamento impartito. L’acquisizione filologica è per Hadot un passaggio obbligato.

Passeremo rapidamente in rassegna alcuni capitoli chiave del testo: Esercizi spirituali, La figura di Socrate e La filosofia come maniera di vivere. Ugualmente importanti e ricchi di notevoli spunti sono anche il capitolo dedicato a Marco Aurelio e le riflessioni sulla nozione di cultura di sé.

 

Esercizi spirituali. Il termine spirituale e le quattro funzioni fondamentali della filosofia antica

Prima di affrontare alcuni aspetti del testo è necessario soffermarsi un attimo sul termine spirituale. Questo termine non ha per Hadot nessuna accezione di carattere religioso. Il filosofo francese arriva al termine spirituale attraverso un ampio percorso che rinvia, per certi versi, allo spiritualismo di Bergson. Qualsiasi altro aggettivo (etico, intellettuale, psicologico, morale, religioso ecc.) sarebbe stato riduttivo. Solo la parola spirituale parla di tutto lo psichismo dell’individuo. E c’è all’interno di questo termine anche l’apertura religiosa, che non va intesa in senso confessionale ma che significa aprirsi a dare qualsiasi spiegazione dell’Assoluto.

Grazie agli esercizi spirituali l’individuo si eleva alla vita dello Spirito oggettivo, ossia sia colloca nella prospettiva del Tutto; “eternarsi superandosi”

Nel mondo antico la filosofia aveva quattro funzioni fondamentali e il filosofo doveva forgiarsi mediante questi quattro aspetti. Egli doveva imparare a vivere, imparare a dialogare, imparare a morire e imparare a leggere. Vi è un grande lavoro nel tentativo di imprimere alla filosofia un atteggiamento concreto. Essa è un esercizio. La parola chiave che Hadot utilizza è conversione, e dobbiamo intenderla come convertire all’uso pratico la filosofia, attraverso due modalità: l’attenzione e la meditazione che dobbiamo intendere come lo sforzo di padroneggiare il discorso interno aperto dall’attenzione.

Imparare a dialogare è un altro aspetto fondamentale che si erige sulla massima socratica del “conosci te stesso”. Il dialogo è un esercizio spirituale interiore; un esame di coscienza e la relazione con se stessi è necessariamente basata sulla conoscenza di sé. Anche imparare a morire è un elemento fondamentale. Presentare la filosofia come un esercizio della morte era una decisione estremamente seria che ha avuto un eco importante nella storia della filosofia. Si pensi a Epicuro, oppure all’esserci-per-la-morte di Heidegger ma anche a Montaigne che parafrasando Seneca afferma che filosofare è imparare a morire e che chi ha imparato a morire ha disimparato a servire. Infine imparare a leggere: altro grandissimo insegnamento. La lettura è dialogo: leggere un filosofo significa dialogare con lui.

 

La figura di Socrate

Così Socrate si maschera e serve anche da maschera agli altri

Di grandissimo livello filosofico è il capitolo che Hadot dedica a Socrate, richiamandosi a diversi aspetti quali il sileno, l’eros e Dioniso. Hadot desidera capire come il dialogare socratico sia andato ad intersecarsi con posizioni filosofiche moderne che hanno dato vita ad una filosofia della vita o dell’esistenza. Due nomi su tutti stanno a cuore al filosofo francese: NietzscheKierkegaard.

Pur essendo molto diversi tra di loro Nietzsche e Kierkegaard hanno in comune il porre al centro la vita, l’esistenza, riferendosi alla categoria della possibilità e negando quella della necessità. È chiaro che i due filosofi prendono strade molto diverse ma il punto di partenza è lo stesso e Hadot indaga proprio su questo punto di partenza comune. Qui la figura di Socrate è decisiva, soprattutto è fondamentale il ruolo dell’ironia nel pensiero socratico e la riflessione di Kierkegaard muove proprio dall’ironia socratica. All’interno di questa dimensione prende forma la maschera socratica. Socrate è maschera di Platone e maschera di se stesso. Hadot coglie un’interpretazione socratica di Kierkegaard davvero notevole che riguarda l’applicazione dell’idea di maschera. Kierkegaard usa la maschera. Sappiamo che scrisse molte opere sotto pseudonimo e attraverso i dialoghi dei personaggi egli mette in scena un grande gioco di maschere.

Hadot offre anche una definizione di ironia: l’ironia è un atteggiamento psicologico secondo cui l’individuo cerca di apparire inferiore a quello che è: si svaluta da solo. Nell’arte del discorso questa diposizione si manifesta fingendo di adottare il punto di vista dell’avversario, che si concluderà col passaggio fondamentale che consiste nel cammino percorso da Socrate insieme col suo interlocutore che troverà l’epilogo nella maieutica.

È magistrale, a mio avviso, il confronto tra Socrate e Kierkegaard riguardo la formula socratica di “so di non sapere nulla”. Socrate sa di non sapere nulla. Anche Kierkegaard (che ricordo è un filosofo cristiano) afferma di non sapere che una cosa: sa di non essere cristiano. “Essere cristiani significa avere un autentico rapporto personale ed esistenziale con Cristo, significa essersi pienamente appropriati di questo rapporto, averlo interiorizzato con una decisione emanante dalle profondità dell’Io. Data l’estrema difficoltà non c’è nessun cristiano. Solo Cristo è cristiano. Colui che ha coscienza di non essere cristiano è il miglior cristiano, nella misura in cui riconosce di non essere cristiano”.

Su questo livello si muove la riflessione di Hadot che attraverso il Simposio di Platone giunge alla figura di Dioniso, mettendo in luce l’odio amoroso che Nietzsche nutre nei confronti di Socrate. Nietzsche condanna il Socrate razionalista, discendente dalla fonte platonica. Socrate viene esaltato invece tutte  le volte che esercita il gusto della lotta, in cui la razionalità non è che un rimedio alla decadenza degli istinti. Ma quando gli istinti non sono decadenti allora la razionalità ingabbia le espressioni più elevate dello spirito dionisiaco. Senza appello è invece la critica di Nietzsche per quello che attiene la morte di Socrate.

Sappiamo che la figura di Socrate raggiunge la forza più marcata quando esprime la sua accettazione volontaria della morte. Una cosa è avere coscienza della propria morte e accoglierla con necessità, altra cosa è decidere di sottoporsi ad una morte programmata con carattere volontario. Per Nietzsche, Socrate con la sua accettazione della morte svaluta la vita privandola di quello spirito dionisiaco che la contraddistingue. Hadot sottolinea come l’esercizio interpretativo di Socrate sia tutt’altro che scontato.

 

La filosofia come maniera di vivere

Il paradosso e la grandezza della filosofia antica è che essa fosse insieme cosciente del fatto che la sapienza sia inaccessibile, e persuasa della necessità di perseguire il progresso spirituale

In questo capitolo di Esercizi spirituali Hadot mette in evidenza alcuni aspetti di estrema importanza che per semplicità espositiva tratteremo sottoforma di punti, tutti strettamente connessi tra loro, che ruotano attorno al concetto di trasformazione.

1) In primo luogo Hadot rimarca un aspetto decisivo, elemento centrale di tutto il saggio. Dobbiamo avere un atteggiamento di chi domanda alla filosofia una trasformazione del nostro modo di vivere. La filosofia come stile di vita necessita una forma di autodeterminazione di carattere etico. Nascere nell’antica Grecia e scegliere una scuola significava incidere profondamente non sul proprio sapere ma sul proprio essere.

2) Secondo aspetto determinante è quello che riguarda la distinzione tra contenuti e metodo. Il metodo deve contenere anche il contenuto e la mia trasformazione personale, all’interno di una scala di valori, attribuirà al metodo una valenza maggiore rispetto al contenuto. Ad incidere maggiormente sulla mia trasformazione è il metodo prima ancora del contenuto.

3) Ultimo aspetto, sempre all’interno della trasformazione è ciò che attiene allo studio della filosofia. Questo studio non può e non deve ridursi ad un semplice discorso filosofico ma deve avviare il processo della trasformazione di sé.

La filosofia antica propone all’uomo un’arte della vita, mentre la filosofia moderna si presenta anzitutto come la costruzione di un linguaggio tecnico riservato a specialisti

È qui che ci si deve concentrare. È qui che Hadot sviluppa abilmente un discorso affascinante e con ampie vedute. Nell’antichità la filosofia era un esercizio ad ogni istante. Oggi secondo Hadot deve tornare ad essere esattamente quello, perché il nucleo della filosofia non è il discorso, ma la vita, l’azione. Filosofare significa imparare a morire. Si tratta di una delle affermazione più corrette che siano mai stata espresse a riguardo della filosofia. Ma noi oggi ci troviamo all’interno di un paradosso: dobbiamo prendere coscienza del fatto che oggi più che mai si deve filosofare ma nello stesso tempo dobbiamo prendere atto anche del fatto che la situazione ci impedisce di farlo.

È superfluo aggiungere che uno storico della filosofia del calibro di Hadot, che pone il criterio filologico al centro della sua analisi, non possa che riconoscere quando sia sbagliato proporre una qualche forma di autorealizzazione del pensiero antico. Sarebbe un errore dilettantesco. Hadot sostiene giustamente che i greci non possono essere attualizzati; sarebbe inappropriato farlo, inutile, insensato, prima ancora che impossibile. Noi però non possiamo che guardare ai greci se vogliamo intraprendere un qualsiasi percorso di vita . Non possiamo esimerci da questo compito, non possiamo non recepire il loro insegnamento e non possiamo neppure sottrarci alla loro profondissima visione del mondo, entro la quale si radicalizza tutto il nostro essere.

L’importanza degli Esercizi spirituali oggi è fuori discussione. Dobbiamo tornare alla filosofia, coglierne l’essenza, recuperarne l’aurea, ritornando là dove è nata e dove non poteva che nascere, perché la filosofia è legata imprescindibilmente alla vita stessa, e questo i greci lo hanno sempre saputo e hanno sempre cercato di trasmetterlo.