Simone Weil, La persona e il sacro. La sacralità impersonale di ogni uomo

Il punto più alto della riflessione filosofica di Simone Weil (1909 – 1943), filosofa e scrittrice francese di origine ebrea, è senza ombra di dubbio quello che troviamo ne La persona e il sacro, giunta con Adelphi alla sua settima edizione. La filosofa francese, famosa per aver intrapreso una strada controcorrente che la porta dall’insegnamento alla difficile esperienza operaia, vive una vita intensa, che si potrebbe definire disperata, nella più alta concezione del termine, dove l’impegno sociale e politico (è stata una militante della sinistra rivoluzionaria), si compenetra con una successiva svolta mistica che si traduce in una fede vissuta con originalissima partecipazione emotiva e straordinaria intensità. Di salute cagionevole, muore giovanissima di tubercolosi, il 24 agosto del 1943.

L’esperienza umana e intellettuale di Simone Weil è profondamente segnata dalla vicenda dei totalitarismi che precedono l’avvento della seconda guerra mondiale. Il suo è un pensiero fortemente realistico che trova solide basi nel contesto sociale e politico di appartenenza, di cui la scrittrice prende direttamente parte. Il pensiero filosofico di Simone Weil, forse casuale ma decisamente originale, non è collocabile all’interno di correnti filosofiche tradizionali, finendo quasi per passare in secondo piano rispetto alla sua vita. Il lettore dunque è chiamato a trovare il nesso tra pensiero filosofico e situazione vissuta dall’autrice; nesso da cui non si può prescindere, se si desidera cogliere la profondità d’animo della filosofa e trovare una corretta via d’accesso ai suoi testi. Nella sua opera più famosa, La persona e il sacro, è tuttavia chiaro l’intento di Simone Weil: fondare un’autentica filosofia sociale e negli ultimi mesi di vita il suo impegno sarà indirizzato solo in questa direzione.

 

La persona e il sacro

Tralasciando aspetti biografici sicuramente interessanti, ne La persona e il sacro, si esplica, in una vertigine di lucidità e grazia per nulla scontata, un ragionamento, che a discapito della brevità del testo, risulta essere colmo di interessanti sfaccettature. A tal proposito vale la pena concentrarsi subito su quella che è la concezione del sacro secondo la filosofa francese.

La riflessione critica della Weil verte innanzitutto sulla parola “persona”, sulla falsa riga del personalismo inaugurato da Jacques Maritain, proseguito da Emmanuel Mounier e superato definitivamente da Paul Ricoeur. Il testo però va oltre un’esigenza puramente semantica del termine: rappresenta una profonda meditazione filosofica non solo sulla nozione di “persona” ma anche su quella di “diritto”, di “democrazia”, di “giustizia”, di “male” e di “bellezza”. Simone Weil pone l’accento sul sostrato nascosto impersonale dell’essere umano, quello più oscuro, da cui risale l’eco di una domanda inquietante: “Perché mi si fa del male”? Sarà a questa domanda che la scrittrice affiderà la continua esigenza di giustizia che merita l’essere umano.

“In ogni uomo vi è qualcosa di sacro. Ma non è la sua persona. E neppure la persona umana. È semplicemente lui, quell’uomo”.

Da questa frase si evince quello che per Weil inizialmente dovrebbe rappresentare il sacro, ovvero la persona. Ma qui si potrebbe facilmente fraintendere il suo pensiero. Intanto la Weil intende non la persona umana in generale, bensì quella particolare persona che osserva in quel particolare momento. Un uomo fatto di braccia, dirà, occhi e pensieri. Lui, proprio lui, nella sua interezza. Subito dopo la scrittrice puntualizza un altro aspetto di questa sacralità, dicendo che ogni individuo, nel corso di tutta la sua vita, si aspetta che gli si faccia del bene e non del male “ed è questo” dirà la Weil “che è sacro in ogni essere umano”. Il bene. Un bene inteso proprio come fonte del sacro, per questo la sacralità è interamente riconducibile al bene.

Dopo queste premesse Simone Weil si addentra sul concetto di persona e si cala in quel lato nascosto di cui abbiamo precedentemente accennato, introducendo un pensiero filosofico che merita di essere esposto. Non è la persona ad essere sacra, ma l’impersonale che c’è in ogni essere umano.

“Ciò che è sacro”, scrive la Weil, “lungi dall’essere la persona, è quello che in un essere umano è impersonale. Tutto ciò che nell’uomo è impersonale è sacro”.

Le cose impersonali sono il deposito della verità e della bellezza. Nella scienza è sacra la verità. Nell’arte è sacra la bellezza. La perfezione è impersonale ed il passaggio nell’impersonale si opera solo nella solitudine dell’uomo, morale e di fatto.

Solo successivamente la scrittrice si concentra, come detto, sulle nozioni di bene, giustizia, diritto, saggezza, castigo, che vengono affrontati con precisione e rigore, fino a rivedere il concetto di collettività, lucidamente colto in tutta la sua forza distruttrice, capace di annullare la persona, di soffocarla, di farla sprofondare nel collettivo.

 

Il tentativo di conciliare platonismo cristiano ed eredità classica

In Simone Weil echi pascaliani e kierkegaardiani trovano quasi una sintesi, in un percorso spirituale ed esistenziale non poco travagliato. Spesso il suo nome si associa insistentemente al concetto di “platonismo cristiano” e al tentativo della pensatrice francese di conciliarlo, non con poche difficoltà, con l’eredita della Grecia classica.

Per dare una risposta alle problematiche sociali, politiche e alla condizione di grave degrado morale che incombeva in Europa, secondo la Weil si doveva attingere in egual misura da una tradizione spirituale che risaliva alla Grecia antica e al cristianesimo delle origini. Più che rinvigorire il platonismo cristiano, l’esigenza della filosofa è quella di unire (ammesso che sia possibile farlo) lo spirito greco e la fede cristiana, eliminando le differenze che intercorrono tra una vita profana e la fede in Dio. Dimostrare le affinità tra le due tradizioni non è impresa facile. Secondo la Weil sono accomunate dal medesimo sentire religioso, che nei greci trova l’epilogo nelle espressioni della filosofia ma anche dell’arte e della ricerca scientifica, mentre nel cristianesimo nella concezione dell’incarnazione di Dio.

Un tentativo al quale la Weil non riuscirà più ad indirizzare le sue energie per via della precoce morte. Rimane un monito che sembra oggi trovare un nuovo canale di riflessione: occorre pensare daccapo la società, l’etica, la religione e la politica. Senza dubbio Simone Weil ci ha provato, insistendo sul fatto che la gravità dei mali che ci attanagliano trae origine da una concezione che abbiamo di tutte queste tematiche non più allineata con i tempi che viviamo. Per contrastare seriamente questi mali, occorre superarli, oltrepassarli, ed e orientare le proprie forze in tutt’altra direzione. Simone Weil ha indicato una possibile strada. Spetta a questa nuova generazione il compito di intraprenderla, una volta per tutte.