Conoscere se stessi per trovare una nuova spiritualità

Nel particolare contesto storico che stiamo sperimentando, spesso a fare la differenza tra la salute e la malattia, tra la vita e la morte è la dimensione spirituale di un individuo. La spiritualità è una estensione infinita e illimitata dell’esperienza umana e in quanto tale non può essere spiegata, compresa, studiata e approcciata con metodi e tecniche utilizzati per altre dottrine o scienze. Il campo della spiritualità più che dogmi, precetti, obblighi e imposizioni, pone al suo centro una rete di valori, credenze e pratiche quotidiane che consentono al soggetto in questione di collocarsi su un piano più elevato. La spiritualità dunque ha a che fare con lo spirito e con tutto ciò che appartiene ad un percorso di crescita, di sviluppo e di ricerca interiore.

La vera spiritualità

Possiamo tranquillamente affermare che la spiritualità è un modalità di esistere, di essere nel mondo, che si distacca in maniera netta dalla materialità, per tendere verso un livello più profondo dell’esistenza, nel tentativo di armonizzare l’intero sistema dell’essere umano composto da mente, anima e corpo. Di spiritualità abbiamo già parlato in occasione dell’invito alla lettura del bellissimo testo di Pierre Hadot: Esercizi spirituali e filosofia antica. In quella circostanza abbiamo sottolineato come questo termine, soprattutto per Hadot, non avesse nessuna accezione di carattere religioso.

La spiritualità infatti va oltre la religione. Quest’ultima offre un sistema di guida spirituale sicuramente valido per molti, ma nella religione si tende ad essere guidati da soggetti esterni e a dover rispettare tutta una serie di regole e precetti. La vera spiritualità è perlopiù vissuta come un’esperienza personale ed interiore, senza l’ausilio di regole scritte, senza aver la necessità di sottostare a precetti più o meno rigidi, senza dover sempre far riferimento a norme, formule, dettami e a tutta una serie di disposizioni e consuetudini ferree e soprattutto senza il bisogno di professare nessun tipo di dogma.

La realizzazione di sè e la salvezza interiore

Tuttavia la spiritualità non è utile a scoprire chi siamo. Su questo vorrei soffermarmi.

La spiritualità è utile, direi fondamentale, per darci una direzione e per mantenerci stabili all’interno delle diverse crisi che nel corso della nostra vita inevitabilmente affrontiamo. La spiritualità però non è utile quando dobbiamo capire chi siamo, perché in questo caso si crea un’aspettativa. Se abbiamo dei concetti spirituali produciamo un’idea di come dovremmo scoprirci. È opportuno lasciare andare le immagini. Chi siamo noi non è un immagine. È prassi comune confondere se stessi con ciò che si pensa di essere o si percepisce. C’è una differenza notevole tra ciò che stiamo sperimentando e sentendo e il soggetto che effettivamente lo sta sentendo. L’attenzione va focalizzata su chi sta sentendo, dunque il soggetto che sente. Io sono colui che sta provando quell’emozione. Non sono quell’emozione.

Diciamo che si fatica decisamente a conoscere se stessi. L’attenzione deve essere rivolta a chi sta sentendo, non a cosa sta sentendo. La confusione purtroppo è dietro l’angolo. Devo scoprire chi sono io, non che cosa sto sentendo. Una volta che porto l’attenzione solo a chi sono io, porto necessariamente l’attenzione verso una percezione di me stesso. Sento di essere qualcuno. C’è un io. Posso avvertirlo. Il senso di me devo viverlo direttamente per annullare la separazione da me stesso. Non solo devo cercare e guardare ma devo fare un tutt’uno con me stesso e questo si può tradurre in diverse esperienze come quella di attuare una spinta interiore per essere un’unica cosa e aprirsi così alla vastità. Mi concedo finalmente di scoprire cosa sono per giungere all’unità, ossia alla percezione della mia unità. Non devo percepirmi come separato ma come unità.

Riepilogando dunque è necessario non confondere il contenuto, cioè l’oggetto, con il soggetto. Un’emozione è un oggetto all’interno della mia coscienza. Il soggetto è colui che sente quell’emozione. In secondo luogo devo cercare di descrivere ciò che trovo e ciò che sto cercando. Devo perciò descrivere questa mia presenza. Infine è basilare vivermi direttamente. Annullare qualsiasi distanza che intercorre tra me e me. L’obiettivo è quello di diventare un tutt’uno.

Se resto nel contenuto la risposta appaga l’ego. Io sono triste per esempio. Oppure ho paura. Chi sente la tristezza o la paura? Sono io che sento la tristezza o la paura. Ma sono nel contenuto o sono nel soggetto che sente il contenuto? La risposta: sono io che sento la tristezza o la paura, ha appagato l’idea della ricerca. Lo so che la tristezza e la paura sono delle emozioni ma non sto facendo nulla per uscire. Ho perso l’abilità di dirigere la mia energia vitale. Devo risvegliare la capacità di dirigere la mia attenzione a me stesso.

La motivazione è ciò che è più vicino a noi. La motivazione è e deve essere scoprire chi sono. Torniamo a questa scelta. Dopo di che quando faccio l’intento di scoprire chi sono allora mi è chiaro cosa sto cercando. Non è ancora chiaro chi sono, ma l’intenzione è in mano a un soggetto che ha finalmente chiaro cosa vuole.

Molte cose si chiariscono, chiarendo la propria intenzione di base che è la decisione che ci ha portato a questo livello introspettivo. Devo creare un dato stabile così tutto il resto comincia a prendere ordine. Realizzare chi siamo è un dato decisamente stabile e universalmente applicabile in qualsiasi situazione. Tornare a se stessi crea ordine in tutto il resto.

Ma è complicato e dispendioso realizzare il proprio essere. C’è sempre la necessità negli individui di cercare qualcuno che riesca a riempire questo vuoto interiore: un maestro, una figura religiosa, un genitore, un figlio, un oggetto. Qualcosa che riempie e che sostituisce la nostra disabilità nel realizzare chi siamo. Se le nostre intenzioni incontrano ostacoli ed esperienze dolorose allora si ritirano lentamente fino ad assopirsi del tutto. Per questo si spera sempre che ci sia qualcuno o qualcosa che dall’esterno venga a salvarci.

Deleghiamo le nostre vite a entità esterne che eleviamo a nostri custodi e riteniamo degne di qualsiasi venerazione nella speranza che siano esse a salvarci in quanto noi non riusciamo a ritenerci adeguati a questo compito. Ma non è così. Chi continua ad aspettare che qualcuno venga a salvarlo è destinato a morire aspettando, come nell’opera teatrale “Aspettando Godot” di Beckett, perché nessuno verrà a salvare nessuno. Credo che ormai i tempi per fantasticare in questo modo siano passati. Gli esseri umani devono assumersi la responsabilità di guidare loro stessi le proprie esistenze. L’aiuto non è esterno ma arriva in un altro modo. Insegnare a se stessi ad aiutare se stessi. Questo è l’aiuto. Le persone che ci aiutano davvero ci insegnano ad aiutare noi stessi.     

Conoscere se stessi

Se si vuole cambiare la propria vita è fondamentale dedicare del tempo alla conoscenza di se stessi. Conoscere se stessi ed i propri strumenti interiori è il passo decisivo verso il reale cambiamento. Solo allora saremo pronti a fare il vero salto spirituale: quello che non ha bisogno di intermediari, di religioni, di dogmi, di regole, precetti, comandamenti. Ma per farlo dobbiamo prima conoscerci, scoprirci, capire esattamente qual è la nostra vera essenza. Chi siamo e perché siamo qui, adesso.

Inoltre l’accettazione del fatto che nessun elemento esterno può giungerci a salvarci è l’inizio dell’applicazione allo studio di sé. Mi cerco io gli strumenti, seleziono io le pratiche e le conoscenze per imparare ad applicare ciò che ho dentro di me, la mia vera natura. Essa è applicabile. È un’etica che posso utilizzare. Ho in mano la mia vita. Per ambire al livello più alto di spiritualità devo prima conoscermi. La consapevolezza di chi siamo diventa il contenitore di un’esperienza magnifica. L’inizio di una nuova cognizione molto più elevata e profonda, che può unirci al tutto. Solo allora la percezione della dimensione spirituale sarà colta in tutta la sua portata e avrà bisogno solamente di noi stessi per poter essere degnamente espressa.