Albert Camus – Il mito di Sisifo. Il suicidio e l’assurdo in un testo magistrale

Quando Albert Camus dice che “vi è solamente un problema filosofico veramente serio: quello del suicidio”,  dice una cosa apparentemente catastrofica. Come può la più nobile delle discipline, la filosofia appunto, concentrarsi solo su questa  problematica esistenzialistica e lasciar perdere tutte le altre?

Una cosa del genere sembra inverosimile ma per Albert Camus, filosofo, scrittore, saggista, Premio Nobel per la letteratura nel 1957, la questione del suicidio è fondamentale perché è strettamente correlata alla tematica dell’assurdo.

L’argomento filosofico principale dunque per Camus trae origine da una precisa scelta esistenziale che deve rispondere alla domanda più importante: vale la pena di vivere?

L’incipit di Camus è folgorante. Le prime sei righe de Il mito di Sisifo sono potentissime. Egli infatti aggiunge subito dopo che “giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta, è rispondere al quesito fondamentale della filosofia. Il resto – se il mondo abbia tre dimensioni o se lo spirito abbia nove o dodici categorie – viene dopo”.

Per il filosofo francese la domanda più importante è dunque quella sul senso della vita; una domanda imprescindibile, ma non solo, è anche quella che egli definisce la più “urgente”.

Il problema del suicidio venne affrontato nella filosofia antica già con Platone e in seguito è stato oggetto di riflessione da parte di una miriade di filosofi, poeti e scrittori. C’è da dire che il modo con cui Camus affronta la questione ha un pregio non da poco: quello di essere molto originale, perché l’argomento del suo saggio è a grandi linee incentrato essenzialmente sul “rapporto fra l’assurdo e il suicidio e la misura esatta nella quale il suicidio sia una soluzione dell’assurdo”.

Alla luce di questa accattivante prospettiva, all’interno della quale è posta la questione, la domanda che ci siamo posti inizialmente comincia a trovare una risposta inaspettata. Se infatti concordiamo con il filosofo francese sul fatto che l’assurdo in qualche modo comanda la morte, è chiaro che a questa problematica siamo costretti a dare la precedenza rispetto alle altre.

Il saggio scorre rapidamente. La suddivisione in brevi capitoli agevola la lettura.

Albert Camus non è solo lo scrittore de Lo straniero e de La peste (capolavori della letteratura francese e romanzi di successo mondiale), ma anche di questo pregevolissimo testo che si colloca al vertice della sua produzione letterario-filosofica.

Il mito di Sisifo è una grandissimo opera, una perla della filosofia esistenzialista. Su questo critica e lettori concordano in modo pressoché unanime, anche se ci troviamo dinnanzi a un saggio un po’ anomalo e non di facile lettura. In questo testo, più che in altri, è fondamentale tenere bene a mente il disperato appello di Camus, che poco prima di morire chiedeva una sola cosa: essere letto molto attentamente.

Già in avvio scopriamo che il mondo secondo il punto di vista del filosofo francese è di per sé assurdo. E questo assurdo dice Camus “non è nell’uomo e neppure nel mondo, ma nella loro comune presenza”. L’associazione uomo-mondo genera l’assurdo ma è subito dopo che il filosofo assesta un concetto a mio avviso potentissimo. Egli afferma che gli uomini “partiti dall’assurdo sulle rovine della ragione, in un universo chiuso e limitato all’umano, divinizzano ciò che li schiaccia e trovano una ragione di sperare in ciò che li spoglia.[…] L’assurdo diventa dio (nel senso più lato della parola) e l’impotenza a comprendere, l’essere che tutto illumina”.

Siamo a pagina 32 e 33, ad appena un quarto di lettura, ma già gli spunti sono notevoli.

Cita Chestov, Kierkegaard, Jaspers, Kant. Intesse un ragionamento completo e lineare, ad un tratto ribalta argutamente  il problema enunciando che mentre “in precedenza si trattava di sapere se la vita dovesse avere un senso per essere vissuta, appare qui al contrario, che essa sarà tanto meglio vissuta in quanto non avrà alcun senso”. Con una sicurezza disarmante accusa le dottrine che con la loro presunzione di voler spiegare tutto, allo stesso tempo indeboliscono l’uomo e il suicidio diventa così una “sconoscenza”. Si susseguono tutta una serie di meditazioni di grande impatto, una più bella dell’altra. I capitoli La libertà assurda e La conquista sono di una squisitezza linguistica e concettuale davvero notevole.

Affronta inoltre la figura di Kirillov, famoso personaggio de I Demoni, nato dall’altrettanta stupenda penna di Dostoevskij e analizza eccellentemente la visione che lo stesso Dostoevskij ha del tema, con il suo suicidio logico. Camus arriverà ad affermare che lo stesso Dostoeskij, ma anche Balzac, Sade, Malville, Stendhal, Proust, Malroux e Kafka sono da considerarsi tutti filosofi perché i grandi romanzieri non  possono che essere anche grandi filosofi. Impossibile dal canto nostro dargli torto.

Al pari di Aristotele, Montaigne e Spinoza, in definitiva, affermerà tra le righe che a conti fatti l’esistenza è degna di essere vissuta.

L’ultimo grandioso capitolo è quello che da il titolo al saggio: Il mito di Sisifo. Ma chi è in definitiva Sisifo? In un mondo assurdo egli rappresenta l’eroe assurdo per eccellenza, sia per le sue passioni che per il suo tormento. Sisifo è un personaggio della mitologia greca, punito per aver osato sfidare gli dei e costretto a trasportare un macigno dalla base alla cima di un monte; una volta in cima il masso sarebbe rotolato a valle e Sisifo avrebbe dovuto spingerlo nuovamente in cima. Raggiunta la sommità il masso sarebbe scivolato ancora giù e a Sisifo non sarebbe restato altro da fare che riprendere da capo la sua fatica. Così per l’eternità.

E’ un mito tragico”, dice Camus, “proprio perché il suo eroe è cosciente”.

La vita, sostiene Camus, essendo assurda, assume esattamente i connotati della stessa fatica di Sisifo. Ma cosa sta a significare questo? Semplicemente che il senso dell’esistenza sta proprio nell’accettazione che non esiste nessun senso. Camus sa che l’uomo durante la sua vita ricerca le sue verità e quando le ha scoperte resta inevitabilmente in balia di esse. Non riesce più a staccarsene. La mente dunque un bel giorno comprende l’assurdità dell’esistenza ma l’accetta e trova in questa mancanza di senso l’unico senso possibile. A noi non resta che immaginarci un Sisifo felice nella sua eterna tragedia.

Ben venga dunque quest’uomo assurdo che come ricorda nella prefazione Corrado Rosso, “ha una voglia immensa di vivere, di consumarsi senza risparmio in tutte le esperienze. Discende a tutti gli inferni, sale a tutti i paradisi e beve da tutti i calici. Una vita intensissima, rivolta e battaglia permanente, proiettata nella longevità perché soltanto una vita lunga può rendere possibile una messe straripante di esperienze”.