Dylan Thomas, immagini e simboli di un poeta di formazione

Quando la mattina del 9 novembre 1953, al Roman Catholic Hospital di New York, cessò di battere il cuore di Dylan Thomas, dopo cinque lunghi giorni di agonia dovuti a un edema cerebrale, secondo molti si spense uno degli ultimi “poeti maledetti”, quasi entrato da vivo nella leggenda, osannato dal  pubblico e dalla critica per il suo genio poetico e la sua stupefacente capacità comunicativa.

 

[…] La notte nelle orbite contorna,

Luna di pece, il limite dei globi;

Il giorno illumina l’osso;

Dove non fa mai freddo, la raffica che spella

Slaccia le vesti dell’inverno;

Il film primaverile dalle palpebre pende. […]

 

Genio ed eccessi

L’incontro di Dylan Thomas (1914 – 1953) con la poesia avvenne all’età di undici anni, con alcuni versi scritti per il giornalino della scuola. A vent’anni pubblica la sua prima raccolta di poesie, segnata da un successo clamoroso. Il poeta gallese è quello che si può definire un predestinato. La sua vita prima e dopo la Seconda Guerra Mondiale è caratterizzata da vizi ed eccessi. Il suo immenso genio poetico deve fare i conti con la sua tendenza all’autodistruzione. Lui stesso dirà che è costretto a condividere perennemente con il suo lato bestiale, angelico e pazzoide. La dipendenza dall’alcol lo manda quasi sul lastrico. Sarà vano il suo tentativo di sfondare nel campo cinematografico. Le scappatelle extraconiugali si susseguono. Spesso viene invitato a numerosi eventi e celebrazioni ma ubriacandosi puntualmente si rivela un personaggio intrattabile e molesto, quasi ingestibile. Nonostante le sue crisi, gli eccessi, gli sfoghi, il mondo intellettuale lo sostiene. Dylan Thomas però non è disposto a tornare indietro. Ha già intrapreso la sua strada e l’autodistruzione è il prezzo da pagare per il suo cristallino genio poetico. Entrerà anch’egli nel novero dei grandi poeti maledetti. E sarà uno degli ultimi a farne parte.

 

[…] Dovunque m’immergessi in un fondale,

Dovunque scalpitassi in una coltre di trifoglio,

Qualunque cosa facessi nella notte di nero carbone,

Lasciavo le impronte frementi. […]

 

Una lirica fatta di simboli, immagini e descrizioni sublimi

Dylan Thomas è stato un poeta straordinario, capace di far convivere con incredibile naturalezza innocenza e corruzione, in grado di manifestarsi nella scena poetica con l’incredulità di un bambino, infondendo alla poesia il dono della meraviglia che l’ha sempre resa sacra. L’approccio di stupore nei confronti della poliedricità della vita, il fascino destato dalle rappresentazioni mutevoli della natura, la funzione decisiva dell’immagine con la sua sequenza quasi “cinematografica”, le forme del mondo estratte dagli interstizi delle cose, l’interesse per l’inconscio, le struggenti descrizioni dei paesaggi, la componente mistico-religiosa delle sue poesie e la consapevolezza della doppia natura della realtà (con la simultaneità della vita e della morte), tutto questo ha permesso a Dylan Thomas di raggiungere un’estasi poetica e un’esaltazione vitalistica del verso con pochi eguali in tutto il Novecento.

Leggere una poesia di Dylan Thomas equivale a sfogliare progressivamente strati di immagini frementi, per giungere a un centro incandescente: un nucleo poetico di grande impatto simbolico. Il germe centrale della poesia di Dylan Thomas è l’idea della poesia stessa.

La simbologia a cui abbiamo accennato che si colloca alla base della produzione lirica del poeta gallese, emerge da quella complessiva dimensione minerale, vegetale e naturale. Dylan Thomas scende in profondità, si spinge fino a dove la natura affonda le sue radici, a partire proprio dalla duplice valenza simbolica della morte: inizio della fine e fine dell’inizio. La creazione poetica che ne consegue è figlia dello stesso atteggiamento mistico dell’autore: una religiosità naturale spontanea, priva cioè di una spuria costruzione artificiale. La poetica d Dylan Thomas è prima di tutto spontanea, ma anche profonda, simbolica, mistica ed eccelsa. Di immane grazia, precisione e potenza stilistica è la cornice di questi contenuti simbolici, ovvero le bellissime descrizioni di paesaggi. Le aurore, i vespri, le notti, i campi, le scogliere sono descritte con un tocco magistrale, sul filo del delirio, e garantiscono un’incredibile impatto emotivo.

 

Qui in primavera, le stelle navigano il vuoto;

Qui nell’inverno ornamentale

Il nudo cielo viene giù a rovesci; […]

 

La religiosità e la sessualità

Ricorda John Ackerman: “l’aspetto religioso nella poesia di Thomas è la chiave della sua corretta interpretazione ed è il maggiore risultato dell’influenza gallese”. Lo stesso Ackerman menziona gli altri aspetti chiave della poesia di Thomas, ai quali in parte abbiamo già accennato: “consapevolezza della doppia natura della realtà, della sua unità e separatezza, della simultaneità della vita e della morte, del tempo come fattore eterno piuttosto che qualcosa simile a una ripartizione fra passato e presente”.

L’aspetto che qui è necessario sottolineare se si vuole comprendere appieno la poetica di Dylan Thomas è quello che deriva dai riferimenti biblici a cui spesso egli si richiama. Dalla Bibbia e da particolari personaggi biblici (Genesi, paradiso terrestre, croce, Adamo ed Eva, Mosè, Lazzaro, Cristo ecc.), il poeta gallese trae spunto per i suoi componimenti e li riproduce in complesse sequenze per poi infondere al tutto una spinta ciclica di Creazione-Caduta-Rigenerazione. Soprattutto Adamo è uno dei personaggi chiave della poesia thomasiana, proprio perché ricco di aspetti simbolici. La sua, è bene rammentarlo, è una concezione cristiana soggettiva e tutt’altro che ortodossa. Spesso Dylan Thomas si è scagliato contro i “farisei”, colpevoli di piegare le scritture ai propri comodi.

Infine è opportuno accennare anche al sesso, ingrediente fondamentale dell’esistenza umana che assume per Dyaln Thomas una duplice valenza. È il segno più diretto ed è anche il segno più immediato della rigenerazione e della vita. Qui Thomas si rifà alla concezione sessuale di William Blake che evidenzia le posizioni antitetiche della Chiesa e della sessualità intesa come atto puro. Per Blake e Thomas l’atto sessuale è sempre santo. Il peccato consiste nella sua condanna.

 

[…] Le vele bevvero il vento e bianco come il latte

Drizzò veloce nel bevente buio;

Il sole ad occidente naufragò su una perla

E dalla sua carcassa uscì a nuoto la luna. […]

 

Dylan Thomas può essere considerato un poeta di formazione. Per me lo è stato. La poesia Scritto per il mio epitaffio si conclude così: “Io sono la risposta dell’uomo a ogni domanda. La sua mira, la sua destinazione”. Non saprei dire se Dylan Thomas è stato troppo presuntuoso nell’affermare questo. Di sicuro aveva gli strumenti per poter fare una dichiarazione del genere, perché al vero poeta tutto è concesso. Egli può, perché ha visto. È sceso nell’abisso ed è risalito. Il vero poeta è sacro. Lo sapeva bene anche Moravia quando dovette suo malgrado commentare la tragica e assurda morte di Pasolini, poche ore dopo la scoperta del corpo, affermando che di “poeti veri” ogni secolo ce ne consegna tre o forse quattro. Difficile dargli torto. Probabilmente è proprio così: oggi i veri poeti non esistono più.

 

Dalla confusione, come al solito,

E dallo stupore che l’uomo conosce,

Dal caos verrebbe la beatitudine.

 

Consigliamo la bellissima raccolta poetica edita da Einaudi dal titolo Poesie, con testo inglese a fronte, traduzione e note di Ariodante Marianni.