Edgar Lee Masters, tra le righe del capolavoro l’Antologia di Spoon River

L’Antologia di Spoon River, magistrale raccolta poetica di Edgar Lee Masters (1868 – 1950) è uno di quei testi che non si possono dimenticare. Rimangono impressi nella mente a discapito del tempo che allontana il lettore da ciò che legge, perché hanno una scintilla aulica che perdura sempre e comunque.

L’Antologia di Spoon River ha una doppia costante. Una poetica e una narrativa. I protagonisti di questa stupenda raccolta “poetico-narrativa” sono gli abitanti di Spoon River, un paesino americano immaginario attraversato dal fiume Spoon. Dal cimitero posto in cima alla collina, sono gli stessi abitanti, una volta passati a miglior vita, a narrare la propria esistenza o un preciso momento di essa, attraverso gli epitaffi che si leggono nelle lapidi delle loro tombe. Gli abitanti di Spoon River parlano solo attraverso questi necrologi scolpiti sul legno o sulla pietra, ognuno secondo le proprie capacità e possibilità.

A consegnare l’Antologia di Spoon River direttamente nelle alte sfere della poetica statunitense c’è l’assoluta genialità dell’autore. Edgar Lee Masters infatti è riuscito a mettere in bocca le parole giuste per ciascun personaggio. Gente umile, misera, persone comuni che in punto di morte si rivolgono al lettore con parole a tratti sublimi, a tratti semplici. Il poeta non cerca mai di impressionare con la propria tecnica, non compone una raccolta di sole parti magnifiche, ma lascia che la vita dei suoi personaggi entri nella poesia in tutte le sue varianti e sfaccettature, belle o brutte. Il risultato è che abbiamo davanti agli occhi una poesia viva e pulsante, vera, così come lo sono questi personaggi.

Ed ecco che Mary McNeely, George Gray, Louise Smith, Herbert Marshall, Willard Fluke, Conrad Siever, Serepta Mason, Amanda Barker, Fletcher McGee, Faith Matheny, Charles Webster diventano improvvisamente i protagonisti della vicenda e si trovano al centro della scena. Loro, perfetti sconosciuti, uomini e donne di passaggio, destinati all’oblio assoluto, ottengono, grazie alla penna di Edgard Lee Masters il loro attimo di notorietà.

La poesia per Edgard Lee Masters è anche racconto. La poesia è capace di tutto. Essa stessa rappresenta il tutto.

“Amare è trovare la propria anima attraverso l’anima dell’amato. Quando l’amato si ritrae dalla tua anima allora tu l’hai perduta”.

Un testo che dal 1943 a oggi conta ben sessantadue (62!) edizioni in diverse collane, con più di cinquecentomila esemplari venduti, credo che rappresenti un risultato insperato per un libro di poesie.

Se togliamo il genio poetico di Emily Dickinson, (la più grande poetessa della storia), l’immenso Walt Witman, il talento superlativo di Sylvia Plath e la grandezza inarrivabile di Edgar Allan Poe, dobbiamo necessariamente inserire anche Edgard Lee Masters e la sua magnifica Antologia nel cerchio ristretto dei più grandi poeti statunitensi della storia.

Non si può restare indenni dinnanzi alla semplicità scarna di Masters, all’attenzione rivolta ai piccoli fatti quotidiani, lontani dall’enfasi e dagli eroismi dell’anteguerra. Queste storie di provincia fanno dell’Antologia di Spoon River uno dei più grandi capolavori poetici statunitensi e non solo. L’epigramma che diventa poesia è una rivoluzione assoluta. L’incomprensione statuaria dei rapporti affettivi, l’appena accennata ritmicità del verso, le voci “sommesse”, terribilmente autentiche dei protagonisti, il loro vortice di incomprensione, malinconia e rimpianto, sono alcuni elementi che rendono il testo superlativo. Questo conferire alla lapide la parola ultima, su quell’esistenza che non può più essere, rimane impressa nella mente del lettore in maniera indelebile.

Cesare Pavese disse che “Lee Masters guardò spietatamente alla “Piccola America” del suo tempo e la giudicò e rappresentò in una formicolante commedia umana[…] Le spettrali, dolenti, terribili, sarcastiche voci di Spoon River ci hanno tutti commossi e toccati a fondo”. Impossibile non concordare con lui. Toccati a fondo e commossi. La poesia che riesce a fare questo; è la madre indiscussa di tutte le Arti.

“La corolla della mia vita avrebbe potuto sbocciare da ogni lato se un vento crudele non avesse tarpato i miei petali” riporta l’epitaffio di Serepta Mason ed “Henry mi rese madre, sapendo che non potevo mettere al mondo una vita senza perdere la mia” racconta quello di Amanda Barker.

Storie perdute, vite andate, delle cui sofferenze o rimpianti rimangono poche righe destinate però a perdurare e a resistere al tempo.

Come detto è una poesia nuova quella di Masters, malinconica, limpida, forte, che si trasforma in racconto, pur rimanendo poesia e che, come una grossa lente d’ingrandimento rivela tutto quello che c’è da sapere su una vita, compresi gli inganni, talvolta, le frodi, le ipocrisie, le ossessioni. Ma direi anche e soprattutto i desideri e la bellezza, i sogni e le speranze di uomini e donne a cui quella società negò ogni riconoscimento, ma che troveranno grazie alla penna di Edgar Lee Masters un modo inusuale per vivere in eterno.