Milan Kundera – L’insostenibile leggerezza dell’essere. Tra saggio e romanzo, una grande meditazione filosofica

A discapito della leggerezza con la quale si affibbia l’etichetta di buono o cattivo libro, dovuta spesso alla scarsa enfasi emotiva che accoglie un possibile capolavoro, o a quella troppa marcata che ne esalta (inspiegabilmente) un altro, è giusto e doveroso da parte mia, semplice lettore, prendere da subito una posizione e sgombrare il campo da equivoci di ogni sorta. Lo richiede il testo, prima di tutto, ma anche le variopinte e contrastanti opinioni che brulicano sul web.

L’insostenibile leggerezza dell’essere, di Milan Kundera (prima edizione 1984), arrivata oggi alla 47esima edizione con Adelphi, non può essere definito solo un buon libro. Ci troviamo davanti ad una grandissima lezione sulla vita e sul suo senso, sull’amore, sulla libertà di scelta, ma soprattutto su tutto quello che fonda la stessa esistenza umana. È un testo grandioso, una lettura densa e vibrante, un’esperienza basilare per lettori più o meno forti, che si presenta attraverso l’originalissima formula del romanzo-saggio, elemento che lo ha reso un caso letterario negli anni Ottanta, un classico della letteratura europea e un quasi capolavoro.

Quasi capolavoro a mio parere, perché su alcune parti latita troppo e sul finale sa un minimo di incompletezza, come se essendo sul punto di decollare, non riuscisse a spiccare definitamente il volo. Ci si aspetta in effetti, non tanto il lieto fine, (quello si capisce dalle prime battute che è poco probabile), ma quell’ultima spinta, tanto da collocarlo nel novero dei capolavori. È la pesantezza che alla fine sconfigge la leggerezza e la schiaccia a terra? Si tratta di un testo complesso da definire (non nego un sano disagio nell’inoltrarmi a farlo), e non si può fare a meno di notare con quanta superficialità venga catalogato.

È un quasi capolavoro e quel quasi mi rassicura nella stessa misura con la quale mi inquieta. Potremmo definirlo un capolavoro incompleto. Ora però definire chiaramente l’incompletezza è arduo almeno quanto spiegare il senso della pesante leggerezza. Mi colloco quindi nel sottile limbo di coloro che ne riconoscono la grandezza ma non sanno considerarlo davvero un capolavoro, senza provarne un minimo di imbarazzo.

 

Un titolo straordinariamente efficace

 “L’amore comincia nell’istante in cui la donna si iscrive con la sua prima parola nella nostra memoria poetica”

La fortuna di questo libro è già racchiusa nel titolo: uno dei titoli più riusciti e famosi degli ultimi decenni. L’insostenibile leggerezza dell’essere, più che il semplice titolo di un libro, rappresenta di per sé un preciso concetto filosofico, tanto intrigante quanto allarmante. Esso ritrae l’unicità della vita di ogni individuo che si confronta con l’impossibilità di decretare se effettivamente le scelte che facciamo, su ogni qualsivoglia questione, siano giuste o sbagliate, perché non c’è e non ci sarà mai il termine di paragone per poterlo stabilire.

Come detto è la filosofia il perno di questo testo e l’intera trama del romanzo ruota attorno a quattro personaggi, si sviluppa all’interno di una precisa cornice filosofica e si dirama in direzione della (im)possibile risposta che ruota intorno alla domanda: che senso ha una vita in cui ogni scelta che si possa prendere non ha nessuna importanza? Secondo Kundera, o meglio, secondo i ragionamenti e le impressioni di Tomáš, Tereza, Sabina e Franz, le decisioni e le scelte che si possono prendere sono del tutto insignificanti, dato che non si ha nessuna possibilità di stabilire se sono corrette o no, per il semplice fatto che non si possono mai confutare. Per questo, tornando al titolo, possiamo permetterci una possibile leggerezza nel prendere qualsiasi scelta, perché non avremmo mai la possibilità di stabilire se sarebbe stato meglio o peggio scegliere un’altra cosa.

Tuttavia si nasconde un paradosso. Benché l’uomo si trovi a che fare con un carico così leggero, questa leggerezza è un peso insopportabile, intollerabile e per cui insostenibile, ecco quindi lì sottesa la spiegazione del titolo: L’insostenibile leggerezza dell’essere, una leggerezza apparente che cela un peso eccessivo. Nulla di nuovo in filosofia. Parliamo di una contrapposizione che più o meno ritroviamo in diversi filosofi, ma che trasportata letterariamente e inserita nel contesto di un romanzo, diventa davvero una grande trovata.

 

Il testo. Tra saggio e romanzo, storia ed erotismo e una grande meditazione filosofica.

In tutta l’opera di Kundera è tracciato quello che si può definire uno strettissimo legame con l’etimologia, che opera come una cerniera tra l’anima saggistica e l’anima narrativa dei suoi romanzi. Kundera introduce all’interno della dimensione romanzata dove si svolge la vicenda, rapide e fortunate incursioni filosofiche e questa formula del romanzo-saggio è obiettivamente una forma convincente. Innovazione. Sperimentazione. Qui Kundera trova un’alternativa ai diversi modelli narrativi del passato.

Già l’incipit è di quelli portentosi. Si parte infatti nientemeno che con Nietzsche e con una delle più note vertigini filosofiche contemporanee, ovvero il concetto dell’eterno ritorno. Il testo si compone di sette parti dove si alternano le vicende dei protagonisti, tutti abilmente posti in relazione tra di loro in quello che Pietro Citati definisce “il perfetto quadrato delle attività amorose”.

All’interno di questo quadrilatero si intrecciano una molteplicità di fili che partono dal dettaglio fisiologico, a quello legato alla metafisica; un filo è certamente di carattere storico, un’altro è l’amore e il sesso, C’è poi quello di carattere introspettivo e un altro di natura politica. Tutto varia in questa incessante alternanza di posizioni. Ciò che Kundera mantiene sempre costante è il pathos, tenuto alto soprattutto dall’amore, capace di ridurre le sue innumerevoli apparizioni al paradosso che non sia neppure esistito.

Lo sfondo di questa affascinante e turbolenta triangolazione amorosa è la Primavera di Praga, quel periodo di rivoluzione violenta e leggiadra che si incontra e si scontra con le forze armate russe. Praga è anch’essa una protagonista del romanzo, bella e perduta, che possiede e si lascia possedere. Qui Kundera e fin troppo abile a far emergere tra le righe quel taglio politico dato dal sogno di libertà (quasi) interamente soffocato dalla Russia nell’allora Cecoslovacchia. Emerge chiaramente da che parte si colloca lo scrittore, molto bravo tra l’altro, anche ad elargire un elegante critica al comunismo.

Il romanzo inoltre ha un segno inconfondibile, di stile secondo me, più che di assillo: il sesso. Si tratta di un elemento molto importante di quest’opera. L’amore che travolge corpi e anime, è fatto di contatti, di sguardi, di un simbolismo ben delineato. Un amore però che mantiene solo una fedeltà spirituale. L’aspetto fisico sfugge al controllo. Il sesso segna costantemente il passo, con la sua fisicità che porta ad esperienze diverse e variegate. Non diventa mai volgare, rimane sempre teso nel desiderio vorticoso che hanno i personaggi di entrare in simbiosi con altri corpi e con altre menti. Senza entrare troppo nello specifico delle vicende dei quattro protagonisti, è sufficiente ricordare che gli sviluppi delle loro avventure e la delicata situazione politica del paese, portano costoro ad allontanarsi con un epilogo della vicenda per niente scontato.

“Nell’istante in cui sente il piacere spandersi nel suo corpo Franz si allunga e si dissolve nell’infinito del proprio buio, diventa egli stesso infinito. Ma quanto più un uomo ingrandisce nel proprio buio interiore, tanto più rimpicciolisce nell’aspetto esteriore”

L’altro elemento che contraddistingue L’insostenibile leggerezza dell’essere è la grandiosa indagine introspettiva che compie Kundera. Egli scandaglia con grande abilità la crisi esistenziale di ogni personaggio e la pone a confronto con gli altri.

Infine c’è la riflessione filosofica che troviamo in entrambe le parti. In quella narrativa e in quella saggistica, perché se è quasi scontato che Kundera affronti temi filosofici quanto si prodiga nel saggio, è meno scontato che se occupi nella descrizione narrativa. Invece i personaggi del romanzo, tendono a teorizzare la propria esistenza, come fossero alle prese con un’autoanalisi critico-filosofica. L’aspetto filosofico, (Kundera è chiaramente attratto dalla filosofia) è il collante che lega componente narrativa e componente saggistica: un ottimo espediente che genera grande coesione.

“Tereza e Tomáš sono morti sotto il segno della pesantezza. Lei vuole morire sotto il segno della leggerezza [il riferimento è a Sabina]. Sarà più leggera dell’aria. Secondo Parmenide è il passaggio dal negativo al positivo”

Nietzsche, Parmenide, Platone, sono tanti i riferimenti filosofici di Kundera. Sono filosofi decisamente attuali. Sono concretamente riscontrabili nella quotidianità della vita, fatta di amore, nostalgia, malinconia, tradimenti, tormenti e desideri. Per questo motivo L’insostenibile leggerezza dell’essere è un romanzo-saggio adattissimo a questa nostra epoca: è innanzitutto un romanzo universale. È contemporaneo. È imbevuto nella storia, è politico, psicologico. Si colloca in una dimensione terrena con tutti i limiti e le problematiche inerenti il piano materiale, ma tenta di elevarsi nel limbo filosofico, che seppur non offra né certezze né speranze, costituisce quella dimensione totale dell’anima alla quale l’uomo tende, più o meno consapevolmente, nel momento in cui inizia a riflettere sul senso della propria esistenza.