Salvatore Satta col suo Il Giorno del Giudizio. La rivincita di un capolavoro

Per gli addetti ai lavori Salvatore Satta è stato uno dei più grandi giuristi italiani. Una carriera invidiabile la sua, impreziosita da tanti ruoli prestigiosi (tra cui rettore universitario e componente di commissione ministeriale), arricchita da importanti scritti giuridici, tuttora adottati come libri di testo nelle più prestigiose facoltà universitarie.

Ma la vera fama per Salvatore Satta arriva per vie traverse; una fama lontanissima dai “codici di procedura civile” o dalle “istituzioni di diritto fallimentare”. E’ un evento apparentemente fortuito a far conoscere l’altro Satta: il Satta scrittore, il romanziere.

Nella primavera del 1970, a Roma, una brutta malattia si porta via quello che per tutti è stato e sarà un grande accademico. Nessuno poteva immaginare che quell’anno a scomparire sarebbe stato anche un grandissimo scrittore.

Avvenne dunque, che dopo la morte del giurista, i familiari riordinando alcune sue vecchie carte, tra i vari plichi e le numerose cartelle sigillate, scoprirono un manoscritto dal titolo: Il giorno del giudizio.

Non poterono minimamente immaginare di avere tra le mani un grandioso romanzo.

Il giorno del giudizio ripercorre in maniera straordinaria l’epopea degli avi dello scrittore e degli abitanti della sua Nuoro nei primi anni del 1900. Opera straordinaria, memorabile, romantica, poetica, malinconica, visionaria. Romanzo di vita e di morte, di attesa, di solitudine, di perdizione, di fatalità. Tutto è stato detto di questo capolavoro.

La vicenda della famiglia Sanna Carboni è anche la vicenda di una stupenda Nuoro, dove si alternano i pastori, i contadini, gli scansafatiche, il popolo vivo e muto, dove pulsa la vita ma aleggia costantemente la morte, dove pullula il cimitero e si muovono ancora libere le ombre. In questa monumentale opera due sole cose accumunano tutti: la morte, che un giorno giungerà inevitabilmente e il peccato che tutti hanno di essere stati vivi.

La prosa è vivace, profonda, viva, forte. L’intelaiatura è apparentemente casuale ma la tensione è palpabile e la poderosa coscienza evocativa da sola sopperisce perfettamente a tutto il resto. I personaggi sono scandagliati psicologicamente con maestria, il ritmo li avvolge, una giusta lena scandisce il tempo del romanzo. Il profilo di questa processione di figure s’intreccia abilmente con i luoghi; il vortice travolge tutti: vivi, morti, fantasmi. Niente e nessuno sembra avere realmente motivo d’esistere. E’ un mondo di sconfitti, di perduti, di miserabili, di disgraziati. E’ un perenne 2 novembre.

Il paragone con Edgar Lee Masters è un atto dovuto e per chi si è addentrato nella bellissima Antologia di Spoon River non può che constatare una certa familiarità col testo di Salvatore Satta.

Le tematiche sono numerose, le figure di Don Sebastiano e Donna Vincenza sono tinteggiate in maniera sublime: la freddezza e la pervicacia del vecchio nobile, contro il supplizio composto della donna, nella sua monotonia quotidiana. E quella frase solenne, durissima che pronunciò Don Sebastiano a Donna Vincenza riecheggia ancora tra le pareti fredde della casa padronale e racchiude la naturale dimensione dell’uomo, così come Satta lo volle fare intendere “Tu stai al mondo soltanto perché c’è posto!”

E poi c’è il ruolo delle campane che rintoccano suoni invariabili, la triste e ironica carrellata di “relitti umani” che scorre sul palcoscenico del mondo, come le più insulse e vuote comparse. E ancora l’avvento dell’energia elettrica e le luci a petrolio vendute alla vicina Oliena, simbolismo perfetto di un tempo che scorre e non può mai riavvolgersi su se stesso. C’è la visita al cimitero da parte dello scrittore e il convegno con i morti: sono loro le uniche persone realmente da incontrare. Si delinea così una sequenza di pagine memorabili. Il concetto di attesa e d’immobilità di questo “tutt’uno” informe e inestricabile viene proposto con una destrezza e una padronanza ineffabile. L’intrico di pensieri, la disputa con coloro che non ci sono più, lo scontro, la riunione, gli effetti chiaroscuri, l’alternarsi delle gioie e dei dolori: è un grumo di sfaccettature portentoso. Un percorso sofferto sia chiaro, che Satta stesso sembra voler confidare al lettore, nell’unica, stupenda pagina della seconda parte: una presa di coscienza straordinaria, una resa dei conti, con se stesso e con la vita.

Così, sulle orme del grande critico letterario e saggista George Steiner, giunto a Nuoro per toccare con mano gli ambienti sattiani, ancora oggi è possibile ripercorrere  quelle strada come doveva aver fatto lui: prendere per il corso deserto, entrare al caffè Tettamanzi e poi varcare la soglia del cimitero e di nuovo per il centro, via Angioj, (tappa obbligata per vedere da vicino la casa natale di Satta) e raggiungere infine la piazzetta oggi a lui dedicata.

E’ dello stesso Steiner in effetti, la prefazione presente nel volume editto dalla casa editrice sarda Ilisso, ristampata successivamente da Adelphi. Una pregevolissima introduzione all’opera e allo scrittore, col giusto tocco poetico, pubblicata per la prima volta nel 1987, in occasione dell’uscita del libro in lingua inglese.

Il romanzo uscì per la prima volta nel 1977, due anni dopo la morte di Satta, avvenuta nel 1975. Poco clamore, molta indifferenza. Venne ignorato sia dal pubblico che dalla critica. Passò qualche tempo, altra casa editrice, nuova edizione. Stavolta, finalmente la consacrazione. L’anno è il 1979. Il giorno del giudizio viene tradotto in quasi venti lingue; la critica lo nota all’improvviso e lo accoglie ottimamente, tanto da esaltarlo nella sua interezza ricoprendolo di elogi e tributi: diventa un caso letterario mondiale.

«Scrivo queste pagine, che nessuno leggerà, perché spero di avere tanta lucidità da distruggerle prima della mia morte». Parole di Salvatore Satta, alle quali per fortuna non seguì quel gesto.

Il modo più intenso per vivere quest’opera è percorrerla, attraversarla, entrare fisicamente o quantomeno mentalmente nei luoghi, senza mai avere il sentore di perdersi. Aggirarsi per le vie di una Nuoro incantata, una Nuoro non ancora città, e scoprire quella dura inconscia condanna racchiusa negli sguardi persi dei personaggi: la colpa atroce di essere stati vivi.

La Sardegna è un capolavoro di solitudine. Lo fu quella Nuoro. Lo è questo romanzo.

 

Testo acquistabile sul sito IBS, Salvatore Satta, Il giorno del giudizio.